A cosa pensi se dico visual storytelling?
Recentemente chi opera tra marketing, social network e pubblicità ha sentito parlare spesso di visual storytelling. Con visual storytelling si fa riferimento alla comunicazione che si avvale principalmente di immagini – foto o video – per promuovere un brand. Con la diffusione di social network come Instagram, Pinterest e You-tube – dove l’attenzione si concentra più sulle immagini che sui contenuti – le tecniche di visual storytelling sono diventate oggetto di rinnovato interesse ed approfondimento da parte di aziende e professionisti della comunicazione.
Visual storytelling: neologismo per una pratica molto antica.
Per chi, come me, si è misurato per anni con la pubblicità su mezzi di comunicazione tradizionali, la narrazione attraverso le immagini non è una novità. I meccanismi che decretano il successo di uno spot TV o che rendono virale un video su You-tube sono analoghi. La pubblicità è quasi sempre una combinazione di visual (immagine) e di copy (testo), che si rafforzano l’un l’altro. Pensate agli spot TV, ma anche agli annunci stampa su riviste e quotidiani. L’immagine crea oppure rappresenta un mondo; il testo definisce questo mondo e lo attribuisce al brand che pubblicizza. E spesso l’immagine è l’elemento che cattura per primo l’attenzione del pubblico.
Se il termine visual storytelling è apparso di recente, ciò a cui fa riferimento è invece antico quanto l’uomo. Comunicare attraverso le immagini è una pratica che affonda le sue radici in tempi lontani.
In fondo è alla narrazione per immagini che si affidavano i re quando contraddistinguevano le rispettive casate con gli stemmi. E quando li facevano scolpire sulle facciate dei palazzi e sulle cancellate, sugli abiti e sulle armature, in una sorta di immagine coordinata d’altri tempi.
La Chiesa: big spender di visual storytelling.
Se c’è un’istituzione che ha creduto e ha investito patrimoni ingenti sul potere delle immagini e della rappresentazione visiva, questa è la Chiesa. Le sacre scritture sono state trasposte in immagini nelle chiese di tutto il mondo cristiano. Con cicli di affreschi sulle navate, sui soffitti e sulle volte, ma anche con sculture, bassorilievi e altorilievi, su tetti, pareti e portoni.
Le facciate e gli interni di chiese e cattedrali pullulano di illustrazioni della storia della chiesa, dei suoi padri fondatori, di Gesù e dei santi. Le sacre scritture del resto erano accessibili solo alla minoranza di persone letterate. Per entrare in comunicazione con la moltitudine di fedeli analfabeti, il ricorso alle immagini era una necessità, più che una scelta.
Per farlo ci si affidava ai migliori pittori e scultori dell’epoca. Giotto, Leonardo e Michelangelo possono così essere considerati non solo artisti che hanno segnato la storia dell’arte, ma autentici visual storyteller ante litteram.
Un esempio virtuoso: il portone della Chiesa del Purgatorio di Matera.
Per scoprire i protagonisti e le storie rappresentate attraverso una vetrata istoriata o un ciclo di affreschi, è spesso necessario il supporto di una guida o di un sacerdote. Altre immagini invece sono immediatamente comprensibili e trasmettono il loro messaggio ai più senza bisogno di essere disambiguate: sono le immagini più forti, univoche e potenti. Solitamente quelle che ricorrono ad una simbologia largamente conosciuta e condivisa.
Come questo insolito portone della Chiesa del Purgatorio: una costruzione settecentesca che si trova a Matera, in Basilicata.
Nella parte più alta del portone si vedono quattro teschi, sormontati da vari copricapi: si tratta di un cardinale, di un papa, di un re e di un vescovo.
Nella fascia più in basso non ci sono copricapi di sorta: si presume quindi che siano persone comuni.
Tutti, dal re al comune cittadino, sono rappresentati con un teschio. Il messaggio è forte e chiaro: da un lato nessuno sfugge alla morte, dall’altro la morte trasforma tutti in un mucchietto di ossa, azzerando le differenze della vita terrena.
Sul portone della Chiesa i fedeli sono dunque invitati a ricordare che sono tutti destinati a morire, indipendentemente dalla loro posizione sociale in vita.
Ecco. Trovo che questo sia un’ottimo esempio di visual storytelling, perché fa scattare la possibilità di identificarsi in chiunque: fedele o ateo, uomo di potere o semplice cittadino.
Le porte inoltre sono fatte per aprirsi e per lasciare entrare i fedeli nella casa di Dio.
La presenza del simbolo della morte sulle porte della Chiesa è un elemento simbolico che può facilmente suggerire questa lettura: la fede in Dio e nella Chiesa consente di salvarsi dalla morte e di accedere alla vita eterna. Di abbandonare la morte dietro a sé e di avvicinarsi a Dio nell’aldilà.
A livello di struttura narrativa la fede rappresenta l’oggetto magico di proppiana memoria, che consente all’eroe di supplire alla morte. Oppure Dio rappresenta l’aiutante che permette all’eroe di risolvere l’impasse nella narrazione, dovuto alla mancanza della vita. In entrambe queste interpretazioni, lo storytelling è strutturato in modo tale da poter funzionare efficacemente, perchè il pubblico di riferimento è portato ad indossare i panni dell’eroe della storia.
La ricetta per un visual storytelling efficace.
Indipendentemente dall’ambito di applicazione, religioso o profano che sia, il meccanismo sotteso ad uno storytelling che funziona è lo stesso. I brand e le istituzioni che si avvalgono del visual storytelling per promuoversi devono persuadere il loro pubblico di riferimento del valore aggiunto del loro prodotto o servizio. E per riuscirci, devono avvalersi dell’esca di codici visivi conosciuti e condivisi da quel pubblico.
Inoltre la storia non deve essere confezionata intorno al prodotto/servizio pubblicizzato, ma intorno al pubblico a cui si rivolge. La narrazione per immagini va strutturata in modo tale che il pubblico si identifichi con il protagonista – l’eroe della storia – e sia così indotto a lasciarsi coinvolgere dalla narrazione.